sabato 14 marzo 2020

Rotta per la Galite, l'altra Ponza

La storia della migrazione ponzese alla Galite è una poesia arcaica. E’ una poesia di avventura, di scoperta, di coraggio, di felicità selvaggia. E’ una storia di fame ma anche di abbondanza, di libertà ma anche di isolamento, di spostamento ma soprattutto di stanziamento. 
Mi sono imbattuta in questa singolare vicenda seguendo le fila della migrazione italiana in Tunisia, una migrazione lunga più di un secolo che ha attraversato molte fasi e che rappresenta un affascinante esempio di transculturalità mediterranea.  
La storia della Galite - che racconto nel ciclo per TreSoldi in onda su RaiRadio3 dal 17 al 20 marzo 2020 alle 19.50 Rotta per la Galite, l’altra Ponza (Podcast) – fa parte, dunque, di una pagina di storia più ampia, quella ‘circolare’ del Mediterraneo che racchiude gli eterni rituali della partenza che non sono mai stati in un’unica direzione, ma sempre in entrambe, avanti e indietro tra la riva sud e la riva nord. 




La Galite è l’isola principale dell’omonimo arcipelago tunisino che si trova a 64 km a nord di Tabarka, nel cuore del Mediterraneo. Dopo essere stata disabitata per secoli e approdo di fortuna per corsari, pirati e navi mercantili, dal 1872 fu abitata per quasi un secolo da una comunità di pescatori italiani provenienti dall’isola di Ponza. 
Il primo ponzese a mettere piede alla Galite è stato Antonio d’Arco che aveva scoperto l’isola nel 1843 durante un naufragio. Decise di tornarci con la famiglia in seguito all’accusa di omicidio e tanti lo seguirono attratti dai fondali pescosi. 
Nel 1903 erano presenti sull’isola 103 persone e nel 1936 ben 250, una comunità che serviva anche da assistenza ai pescatori stagionali che da Ponza partivano per la pesca delle aragoste.
Alla Galite i ponzesi trovarono un paradiso in terra, un’America nel Mediterraneo. Un mare ricco e la libertà di auto-gestirsi su una terra che dal 1881 era sotto il protettorato francese. 
La permanenza dei ponzesi sull’isola si concluse proprio con la conquista dell’indipendenza da parte dei tunisini nel 1956. Alcuni negli anni 60 sono tornati a Ponza, mentre moli altri, avendo la nazionalità francese, hanno scelto di trasferirsi in Costa Azzurra e oggi nel villaggio costiero Lavandou vivono ancora molti discendenti dei ponzo-galitani
Per tutti la Galite rimane nella memoria come una terra speculare a Ponza, una terra sorella, a tratti gemella: l’altra Ponza. 


Dal 1980 l’arcipelago della Galite è considerato una riserva naturale e dal 2006 è gestito dall’Apal, l’Agenzia di protezione e sviluppo costiero tunisino, che lavora per la tutela degli ambienti marini e terrestri dell’arcipelago e per il miglioramento del suo patrimonio paesaggistico e culturale. L’Apal gestisce anche le visite sull’isola, comprese quelle degli italiani che desiderano andare al cimitero e visitare i luoghi vissuti dai loro antenati. 
E’ ancora molto forte nei discendenti dei vecchi abitanti della Galite il desiderio di mantenere un legame con l’isola e tenere viva la memoria di questa bella storia di migrazione italiana in Tunisia attraverso i ricordi familiari perché “sopra le isole – scrive il poeta Antonio De Luca - l’uomo scava la devozione e il verbo, sopra le isole l’uomo attende e racconta”. 

#1| Destini mediterranei - Ultime tracce della storia della migrazione ponzese alla Galite - I racconti del libraio Silverio Mazzella, di Assunta Scarpati, nipote di Concetta, considerata la ‘sacerdotessa’ della comunità, e dell’aragostaio Giovanni Conte.

#2| Una storia arcaica - La leggenda di Antonio D’Arco, primo ponzese a mettere piede sulla Galite - I ricordi di famiglia di Assunta Scarpati

#3| La Galite ieri: un’America nel Mediterraneo per i fondali pescosi e l’abbondanza di aragoste - I ricordi giovanili di Giovanni Conte

#4| La Galite oggi: riserva naturale e area marina e costiera protetta – Lo sguardo del poeta ponzese Antonio De Luca e le visite organizzate sull’isola dell’Apal, l’Agenzia di protezione e sviluppo costiero tunisino.  


Il mare e la sponda, le isole del mare e i porti sulla sponda, le immagini che ci offrono gli uni e gli altri cambiano nel corso dei peripli e duranti gli approdi. Il Mediterraneo rimane lo stesso, noi invece no”.  
Pedrag Matvejević 

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