lunedì 25 maggio 2020

Tahar Ben Jelloun, echi dal diario napoletano

Per accontentare i lettori che in queste settimane di isolamento non prediligono i romanzi lunghi e impegnativi, La Nave di Teseo ha lanciato la collana di ebook Gli Squali in cui pubblica solo racconti o romanzi brevi, veloci e incisivi. Tra i titoli della prima sfornata c’è Diario di un criminologo” di Tahar Ben Jelloun, racconto estrapolato dalla raccolta Dove lo Stato non c’è (Einaudi, 1991) in cui lo scrittore marocchino costruisce piccole storie ambientate al Sud Italia dopo un viaggio iniziato nella già amata Napoli e proseguito in Sicilia e in Calabria con l’amico Egi Volterrani, poliedrico architetto e artista torinese scomparso 3 anni fa. 




L’idea di questo “giro né turistico, né giornalistico” era nata all’allora direttore de Il Mattino, Pasquale Nonno, insieme con la redazione culturale del giornale, e rappresentò per Ben Jelloun il consolidamento di un interesse verso il meridione italiano e dell’innamoramento per “il disordine vitale” della napoletanità che ha poi espresso negli altri due titoli ambientati a Napoli L'albergo dei poveri e Il labirinto dei sentimenti
In Diario di un criminologo l’autore di Fès da 50 anni a Parigi si muove nell’hinterland napoletano, in terra di camorra, ed evoca fatti di cronaca realmente accaduti tra gli anni ‘80 e ‘90, titoli di giornale e personaggi che ricordano persone viventi o che sono esistite, usando la forma del racconto di finzione. Sono chiari i riferimenti al giornalista Giancarlo Siani, ucciso per mano della camorra il 23 settembre 1985, così come alla strage di Torre Annunziata del 26 agosto 1984, avvenuta all’interno di una faida tra clan, in pieno giorno, a opera di quattordici sicari che si finsero turisti a bordo di un pullman in gita, che “la stampa ha chiamato ‘Il cavallo di Troia’, ‘I turisti assassini’”.  
La voce narrante è quella di un criminologo che raccoglie e cataloga informazioni sui corpi ammazzati e convive con la solitudine di chi passa il tempo ad accumulare verbali, impotente di fronte alle ingiustizie e all’infanzia senza innocenza vissuta in queste terre disperate e abbandonate dallo Stato. Lo Stato è “il fantasma, il grande assente” che Ben Jelloun fa aleggiare per tutto il racconto e che ai lettori di oggi può risuonare argomento d’attualità, come se non fossero passati ben trent’anni da quando il testo fu scritto.
“Perché lo stato si è ritirato, lasciando il campo ai trafficanti di droga, di armi e di crimine?” si chiede lo scrittore di Torre Annunziata Michele Prisco, scomparso nel 2003, introdotto nel racconto quando il criminologo fa le sue ricerche sul campo, turbato e rincorso da immagini violente che sempre più spesso hanno il volto di ragazzini. 
A chi serve una società dove i bambini buttano via la pistola di plastica per sostituirla con un revolver vero; con le pallottole vere, per commettere dei veri assassini?” si domanda invece la futura moglie del criminologo di fronte all’aumento dei baby-killer che si ammazzano tra loro. Per questi giovani il futuro è già tracciato, “con la benedizione della famiglia e l’ammirazione dei compagni”. Sembra di leggere le cronache di oggi che parlano di minori intrappolati nella violenza, riuniti in baby gang che girano in banco, colmi di rabbia e senza sogni nel cassetto. 

Il Mattino - 30/4/2020

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