martedì 22 ottobre 2019

Sale

«Chott el Jerid è il più grande lago salato della Tunisia. Come potete vedere è del tutto secco, ma d’inverno la crosta si scioglie, il sale va in superficie e, confondendosi con la sabbia, diventa uno specchio d’acqua che cambia colore di continuo». 
I turisti guardano Kahena incantati. Il suo modo di parlare è ammaliante e i suoi movimenti sinuosi. Gesticola alzando e abbassando le mani e, quando descrive i luoghi che la circondano si dondola facendo ondeggiare la folta chioma scura, liscia e profumata di gelsomino. 
L’originalità del lago salato per alcuni passa in secondo piano di fianco al fascino emanato da quella ragazza del deserto che per tre giorni farà loro da guida in lingua francese. Capita spesso che qualche turista se ne innamori e lasci il cuore a Tozeur dove Kahena è nata e cresciuta e dove lavora con dedizione. 
Il lago salato di Jebili è una tappa fissa dei tour nel Sud della Tunisia. Da lontano appare come una distesa di neve dove è facile incontrare bambini giocare come se fossero in montagna. Anche per Kahena è un posto speciale e ci prova gusto a descrivere quell’anomala distesa di bianco sale come un luogo leggendario. Le brillano gli occhi quando, con orgoglio, spiega che è stato citato addirittura nei libri di Plinio ed Erodoto. 
«Il lago è un agglomerato di cristalli di sale appoggiato su un fondale argilloso e sabbioso. Quando soffia lo scirocco come in questi giorni la commistione d’aria calda può portare ad avere miraggi. Quindi fate attenzione…» suggerisce al gruppo e sfoggia un sorriso seduttivo, ma proprio in quel momento le squilla il cellulare.




Di solito non risponde mentre lavora, ma vedendo illuminarsi sul display il nome di Amira non sa resistere. 
È strano che chiami a quest’ora, pensa, e con impazienza risponde mentre il gruppo rimane in silenzio ad attenderla. Solo qualcuno s’allontana per scattare fotografie, gli altri continuano a osservare Kahena con ammirazione mentre parla animosamente al telefono.   
«Aslema hazisti. Lebess? Tutto bene mia degla, datterina?». 
«Devo dirti una cosa…» dice Amira esitante, con tono cupo e preoccupato. 
«Sto lavorando, ma dimmi se è urgente…». 
«Scusa, ma ho appena saputo che fra un mese mi sposo» sbotta Amira senza giri di parole. 
«Cosa? E con chi? Tu non hai un fidanzato!» tuona Kahena sbalordita.  
«Con Mourad, un cugino. È una decisione familiare. Lui non è un cattivo ragazzo, ma io non ho voglia di sposarmi, lo sai…».
«Certo che lo so. E cosa farai? Cosa posso fare io? Vengo subito da te».
«Sì, grazie, ti aspetto». 
Il volto di Kahena si scolora, il sorriso scompare e il corpo s’irrigidisce. Non è più la stessa donna di pochi minuti prima quando si volta verso i turisti. Non riesce a nascondere lo shock e non ci prova neanche. Il cuore le è diventato cemento e sul viso contratto si leggono ben chiare delusione e rabbia. Le sembra che la terra abbia cominciato a tremare e che i cristalli del lago salato si stiano sbriciolando sotto i suoi piedi facendola sprofondare in un vuoto sconosciuto e maligno. Dice al gruppo di aver ricevuto una brutta notizia e, scusandosi, dà loro appuntamento al giorno seguente per visitare le oasi di Tozeur e di Nefta.
Schiaffeggia l’aria ferma e cocente, poi Kahena inizia a correre verso casa di Amira. Procede incredula, schiacciata da un senso insopportabile di assurdità. Non ha mai immaginato Amira moglie, dedita a un uomo e alla famiglia, né ha mai osato spingere il pensiero verso un possibile distacco tra loro. Amira è la sua amica di giochi e di sogni. Sin da bambine si sono promesse che sarebbero state sempre insieme e insieme avrebbero lasciato il deserto per trasferirsi altrove e costruire un futuro diverso da quello delle loro mamme. Ma se Amira si fosse sposata avrebbe rischiato una vita lontana dai suoi desideri e il loro patto sarebbe andato perso. 
Kahena scalcia per raggiungere l’amica con il fuoco negli occhi, senza guardarsi intorno. Sembra galoppare come una cavalla berbera. Veloce, fiera, bella e slanciata alza polvere e tira dritto per la sua strada. L’eleganza di Kahena spicca in qualsiasi movimento o gesto. La sua figura è leggiadra e seducente anche quando è arrabbiata. 
Amira le apre la porta in lacrime, Kahena la fissa con sguardo stravolto. Vorrebbe piangere anche lei, ma si trattiene. È una donna risoluta e ha sempre difeso l’amica nelle situazioni difficili. Anche in quel caso vuole mostrarsi la più forte. 
«Come stai?» dice Kahena abbracciando l’amica.
«Male…» risponde Amira portandosi un fazzoletto al viso e strizzando gli occhi. 
Kahena sente ancora tremare la sua vita e teme di non riuscire più a stare in equilibrio sulle gambe. Senza Amira la sua esistenza si svuoterebbe. Non sentirebbe più il sapore delle cose semplici delle giornate a Tozeur e s’indebolirebbe fino a essere distrutta come una città rasa al suolo. 
Amira è la sua complice perfetta. 
«E cosa pensi di fare?» chiede Kahena e tenta un tono di voce calmo. 
«Non lo so. Sono sconvolta! Non mi aspettavo che Dio volesse questo per me. La decisione della mia famiglia mi ha davvero colta di sorpresa…» risponde Amira, toccandosi i capelli con un gesto casto e sensuale. 
«Ma tu puoi modificare il tuo maktoub. Dio vuole solo il tuo bene». 
«Sì, lo so che posso cambiare il mio destino, ma ora mi sembra così difficile. È stato già preparato tutto. Mi hanno già fissato domani ho un appuntamento per misurare gli abiti da sposa» dice con lo sguardo fisso a terra. 
«Ma è un gesto violento. Un’imposizione ingiusta! Tu sei una donna moderna, non un involucro per figli…» esclama Kahena sempre più adirata. 
«Lo so, ma mi sento sola contro tutti».
«Non sei sola, ci sono io. Dimmi cosa posso fare. Sono qui per questo». 
Amira scoppia di nuovo a piangere. Si sente davanti a un vicolo cieco, ma quel che peggiora il suo stato d’animo è la sensazione di essere avvolta da una passività irrazionale, immotivata, ancestrale. Non trova in sé alcuna forza per combattere. È arresa, sfiduciata, sconfitta in una battaglia non ancora intrapresa. 
«Cerca di ricordare i sentimenti che provavi prima. Pensa ai tuoi sogni! Volevi diventare un’affermata stilista, fondare una scuola di design, viaggiare…» aggiunge Kahena, mentre vede scorrere davanti agli occhi i bei momenti trascorsi con l’amica come in una lunga sequenza da film muto. 
La scena viene interrotta dal rumore del portone che si apre. Con passo saltellante entra in casa Mohammed, il fratello più grande di Amira.  
«Aslema ragazze. Lebess? Kahena, hai sentito la bella notizia? Amira si sposa!». 
Kahena non riesce a fingere né gioia né partecipazione. Rimane imbambolata, in silenzio.
«E tu? Fin quando farai la cavalla ribelle? Saresti una bellissima moglie e un’ottima madre, inshallah! Io apprezzerei…» prosegue Mohammed ridacchiando.
«Conosci già la risposta. Poi oggi non è proprio il giorno giusto per parlarne. Vado di fretta. Bislema» ribatte Kahena, mentre di scatto va verso la porta e si dilegua con lestezza.
Mohammed la segue con uno sguardo infiammato, d’ammirazione. Poi si volta verso la sorella con sarcasmo:
«Non cambierà mai la tua amica. Peggio per lei!». 
Amira aggrotta la fronte senza commentare e s’accascia sul divano sfatta, confusa. Rimane lì per un bel po’ fino a quando non le arriva un sms di Kahena: 
«Ti accompagno a misurare il vestito. Non ti lascio sola. Mai». 

Il giorno seguente Amira è già dalla sarta quando Kahena la raggiunge. E’ agitata quando arriva davanti alla porta del salone. Esita a bussare e rimane qualche istante smarrita di fronte all’enorme mano di Fatima azzurra appesa alla porta. Si sente come se le avessero risucchiato tutta l’aria dai polmoni. Cerca di calmarsi e, solo dopo lunghi respiri sotto il sole accecante di quel giorno, si fa coraggio, bussa e chiede dell’amica. 
La sarta, una donna sulla cinquantina tarchiata e pienotta, la fa entrare e la saluta con garbo, poi le fa strada. Amira è nell’ultima stanza, alla fine di un lungo corridoio scuro e spoglio. È in piedi, nuda, completamente depilata, in attesa di provare i capi per il matrimonio. Quando Kahena la vede ha un sussulto. Le ricorda una scultura, perfetta e voluttuosa. Il suo corpo minuto è scolpito come quello di una bambola dalla bellezza ideale, ma non per questo asessuata, anzi. E’ carnale ed erotica. Ha i contorni morbidi e fulgidi, le cosce piene, il ventre vellutato e il sedere sodo. 
Quella visione le trasferisce un’inaspettata scossa elettrica che dalle gambe arriva dritta alla testa. I piedi perdono aderenza al pavimento e una vertigine, densa di eccitazione, inaspettatamente, la attraversa. 
Amira sfoggia uno sguardo d’imbarazzo, languido e disperato, mai esibito prima. Non è per la nudità. Ogni settimana si riunisce con le amiche nello hammam per purificarsi da ansie, tossine e pelle morta e mostrarsi nuda alle altre non le ha mai creato fastidio. È qualcosa di diverso che la scuote. Sentirsi addosso gli occhi penetranti di Kahena le mette soggezione. L’amica, entrando, ha portato con sé una carica rivoltosa e sensuale da stordire i sensi. Il suo corpo è inquieto e i suoi occhi, simili a due razzi, sono impregnati di un’insolita luminosità. Amira si sente disarmata di fronte a quello sguardo ardente. Ne è impaurita, ma allo stesso tempo attratta. 
Ugualmente per Kahena è strano sentirsi accesa dal corpo dell’amica. Nel vederla il fuoco della rabbia che l’ha accompagnata finora lascia spazio a un fuoco diverso, altrettanto forte ma più delicato, benevolo. 
Le scintille di quell’incontro non si affievoliscono neanche quando la sarta irrompe per porgere ad Amira una vestaglia di seta rosa ricamata ai bordi.
«Lascio la biancheria e la sottoveste bianca sul tavolo e intanto esco per prendere i vestiti. Ci impiegherò una quindicina di minuti» dice. 
«Va bene» risponde Amira con un filo di voce sbattendo le ciglia nere e folte, poi si avvolge nella vestaglia. 
Quando le due amiche restano sole nella stanza cala un lungo silenzio: nessuna delle due parla. A comunicare sono ancora solo gli sguardi, imbarazzati e ingordi. Si specchiano uno nell’altro e non possono piu’ nascondersi nulla.    
Kahena sente la pulsione irrefrenabile di fare un passo verso l’amica ancora in piedi, rinchiusa nell’elegante vestaglia della sposa. Le si avvicina e, attraversata da un tremore sottile, le accarezza i riccioli disordinati che pendono sulle spalle. Le sue labbra si sono seccate e tremano quando Amira le prende la mano e gliela porta sotto la vestaglia. 
Kahena è attraversata da un lungo brivido e prova un piacere intenso in quel gesto intimo e inatteso e si lascia andare. Comincia ad accarezzare la pelle fresca dell’amica facendosi strada tra le pieghe del suo corpo. Passa la mano da un seno all’altro con estrema lentezza, poi slega la vestaglia che, con un semplice gesto di spalla, Amira lascia cadere a terra e, senza inibizioni, si lancia a esplorare il corpo incandescente e tonico dell’amica.   
Le infila la mano sotto la maglietta bianca che accentua il colore scuro della pelle. Le slaccia il reggiseno e comincia a disegnare cerchi sui seni prosperosi e vellutati fino a imprigionare con le dita i capezzoli induriti. 
Il desiderio cresce in entrambe. Le labbra secche di Kahena sembrano aver bisogno di quelle Amira per idratarsi, per nutrirsi, per riprendere vita. Il suo corpo è percorso da brividi caldi e dall’impulso di sporgersi sempre piu’ verso l’amica che, ferma in una posa languida, la sta attendendo. 
Le labbra delle due donne s’incontrano a metà strada e, quasi senza accorgersene, si scambiano un lungo bacio avvolgente a occhi chiusi. Solo il rumore dello schiudersi della porta le fa tornare alla realtà. L’istinto iniziale per tutte e due è quello di staccarsi e di voltarsi, per pudore, una verso destra, l’altra verso sinistra. Nel silenzio di quell’attimo si percepisce solo il battito accelerato dei loro cuori. Entrambe non sanno come calmare quell’improvvisa eccitazione, piu’ simile a un tormento che al piacere. Vorrebbero liberarsene per non sentire il peso della vergogna generata da un desiderio troppo scomodo per essere espresso e vissuto con naturalezza in un mondo che le additerebbe quali peccatrici e miscredenti.
Rese più fragili dalla notizia del matrimonio, e senza averne del tutto coscienza, Amira e Kahena hanno liberato una tentazione e un desiderio che covava da anni, diventato all’improvviso difficile da frenare. 
La sarta goffa entra carica di abiti insieme a una ragazzina che la segue con due buste colme d’accessori e di gioielli. L’atmosfera nella stanza è gelida e calda al tempo stesso. 
«Mancano solo le scarpe, ma possiamo cominciare le prove» esclama la signora rompendo il silenzio. 
Amira e Kahena sono ancora tremanti e confuse, una di spalle all’altra, quando la donna inizia ad appendere i vestiti nell’armadio e a canticchiare una canzone di Fairouz. 
Habbaytek bissayf, hannaytek biccity. Ti amo in estate, ti amo in inverno…”.  
La sarta è trepidante di vedere Amira in quei tanto ambiti quanto pesanti abiti ricamati d’oro, ed è così concentrata sul proprio lavoro e sul ruolo di chi deve condividere la gioia del matrimonio da non accorgersi della tensione che è rimasta nell’aria. Con un gran sorriso entusiasta sceglie il primo abito dalle forti tonalità di rosso e lo passa, con gesto materno, ad Amira che lo prende tra le mani tremanti e, a occhi bassi, si dirige dietro il separé. 
Kahena resta impalata dov’è, infastidita dal profumo d’acqua di rosa che aleggia nell’ambiente e dalla tinta di quell’abito. 
Il rosso è il colore principale delle stoffe usate in Tunisia per gli abiti nuziali femminili. Simboleggia il sangue, la perdita della verginità. Ma non è mai usato da solo, ma sempre con altre tinte, dal bianco al rosa, dal viola al nero, fino all’oro delle cinture o dei gioielli che accompagnano i veli e cadono sulle spalle delle spose come lunghe chiome. 
Il primo abito indossato da Amira ha proprio queste caratteristiche, ma quando viene fuori dal separé non ha l’espressione della sposina felice. Al contrario, ha lo sguardo di chi è costretto a uscire allo scoperto a mani alzate per consegnarsi alla giustizia e ad ammettere il proprio crimine. Eppure lei non ha commesso alcuno sbaglio, se non quello di aver dato poco ascolto ai tumulti del cuore e ai fervori del corpo. 
Quando si guarda allo specchio in quei panni spessi e imponenti ha un sobbalzo. Si sente come dentro una vecchia foto di famiglia. L’abito è simile a quelli indossati in passato da mamma, nonna, bisnonna e chissà quante altre donne della sua famiglia. 
«Sei bellissima. Felicitazioni!» esulta la sarta.
A lei fa eco la ragazzina, mentre Kahena tace immobile con il volto corrucciato. 
Lei non riesce proprio ad ammirare quella veste tradizionale che indossa l’amica. È turbata da quello sguardo triste, non sa come contenere l’improvvisa ondata di sentimenti verso Amira e non riesce a immaginare nessun futuro per il loro amore. Soffre. Sente ardere dentro rabbia mista a desiderio di strappare di dosso ad Amira quelle stoffe larghe e meste, ricamate di menzogne e falsità, ottime solo per coprire le verità degli animi, non per contenere le brame delle amanti sincere.
«Domani faremo l’henné su mani e piedi. Per ora prova il velo…» aggiunge, trionfante, la sarta.
Prima d’afferrare il velo, però, Amira s’accascia a terra. Perde i sensi all’improvviso, atterrita dall’ignota potenza del suo sentire. Kahena, allarmata, dà uno strillo che la libera in parte della sua collera e si lancia per sollevarla e stendere sul divano il suo gracile corpo appesantito da quegli abiti antichi. Poi chiede alla sarta di portarle un po’ acqua. Questa obbedisce e, dopo averle riempito e porto una bacinella piena con dei fazzoletti, corre a chiamare aiuto seguita dalla ragazzina. 
Kahena rimane sola con l’amata. La osserva stesa su quel divano per qualche istante e si commuove tant’è la sua bellezza angelica. Comincia a piangere e una goccia salata cade sul viso impallidito dell’amica svenuta. Con gli occhi umidi e il cuore giunto in pancia, Kahena sente il bisogno di baciarla ancora. Le accarezza prima la fronte con le dita scure, così in contrasto con il pallore del suo volto, e poi prende a sfiorarle le labbra carnose e rosse con le sue fino a farsi largo con la lingua per spalancarle, accedere avidamente alla bocca e offrirle tutta l’aria possibile per ridarle i sensi. 
I capezzoli le diventano di nuovo turgidi e la lingua, sveglia e umida, è sempre più vogliosa di andare oltre le accoglienti labbra per leccarle tutto il corpo scultoreo, dal collo ai seni, dal ventre fino al caldo pube dopo averlo cosparso di un denso sciroppo di datteri. 
Ma questo desiderio rimane una semplice fantasia. 
In pochi minuti la casa si riempie di gente, vicini allarmati dalla sarta che ha allertato tutti cercando un dottore. Amira riprende coscienza subito dopo il bacio di Kahena che, invece, resta insaziata e infastidita dal sapore aspro del suo stesso pianto. Amira prova una profonda tenerezza per lei. Vorrebbe asciugarle quelle amare lacrime più velocemente di quanto possano sgorgare, ma non riesce a fare, né a dire nulla. Guarda l’amica con gli occhi ancora colmi di stupore, vogliosa di essere baciata di nuovo ma anche disorientata dalla tragica consapevolezza di essere incapace di frantumare le catene rassicuranti della tradizione per trascendere un amore segreto. 
Il vociare degli ospiti si fa molesto. Amira, debole e stanca, chiede a Kahena di aiutarla ad alzarsi. Poi si volta verso quella gente accorsa allo spettacolo del suo svenimento.
“Sto meglio, grazie. Mi faranno bene silenzio e calma. Poi chiamerò mio fratello per farmi venire a prendere” esclama. 
La sarta accompagna alla porta i vicini accorsi, mentre Amira, ancora molto frastornata, inizia a togliersi di dosso gli abiti da farsa. La testa le gira come se fosse un ciclone. È sconvolta. In poche ore il suo mondo s’è ribaltato e le sembra di non avere più punti di riferimento intorno. Kahena, altrettanto turbata dall’enigma dell’amore, si sente strangolata dalla cultura locale che costringe i giovani a non confrontarsi mai con la verità, sempre troppo scandalosa, ma a cibarsi di privazioni, bugie, compromessi e a nascondersi dietro regole senza logica.
Mangerebbe tutta la sabbia del deserto pur di tornare a nascere in un posto diverso.  
Seguendo la luce fioca dei lampioni appena accesi nei vicoli di Tozeur, Kahena, sudata e sfatta, comincia a camminare, incurante del mondo intorno. 
Arriva fino al deserto di Jebili dove sparisce. 
Se ne impadronisce il vento. 

Francesca Bellino

(il racconto è stato pubblicato nel 2013 in formato ebook da Lite Editions)


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