sabato 4 agosto 2018

Dell'Aleppo che abbiamo conosciuto non rimane piu' nulla

avvertenza: ho scritto questo articolo due estati fa, ma lo ripropongo perché delle sorti di Aleppo e della Siria si parla sempre troppo poco 

Chiunque sia passato per Aleppo, prima di partire ha messo in valigia una scorta delle spesse saponette fatte di un impasto speciale che, in base a un’antica tradizione, mescola olio d’oliva e olio di alloro. Da quattro anni, da quando la città siriana si è trovata al centro di un’atroce guerra civile, la produzione di questo sapone diffuso in tutto il mondo e realizzato nei caravanserragli dei vecchi suq del centro, non si produce più, come non si producono più tappeti, tessuti e accessori in sete pregiate. 
Dell’Aleppo che abbiamo conosciuto non rimane più nulla. La città è oggi completamente distrutta e resa un’immensa distesa di macerie. Lo scenario è raccapricciante. Delle case, i monumenti, le sale da concerti, le sontuose moschee e gli eleganti hotel di quella che era una meravigliosa città araba restano nelle strade solo scheletri di palazzi, pozze di fango, fasci di fili elettrici penzolanti e fumo nell’aria causato dai continui bombardamenti che dal 2012 non sono mai cessati. La cosiddetta "battaglia di Aleppo", intesa come parte della più ampia guerra civile siriana e nodo cruciale dello scontro vista la posizione strategica del secondo centro abitato della Siria, è iniziata il 19 luglio di quattro estati fa, nel 2012, separando la città in due zone tese nel braccio di ferro fra il governo di Assad e i vari gruppi armati di opposizione, tra cui i cosiddetti “ribelli moderati” e gli islamisti radicali dell’Isis. Le forze governative, sostenute dalla Russia e da Hezbollah, si trovano a sud-ovest, i ribelli guidati da Fatah al Sham, il gruppo che rappresenta l’incarnazione di Jabat al Nusra (è stato cambiato il nome alla fazione e rescissa l’alleanza con Al Qaeda), stanziano a est, mentre la parte nord-ovest è controllata dai combattenti curdi dell’YPG (People’s Protection Units) a difesa dei quartieri curdi della città che combattono in alleanza con milizie assire (siriaci cristiani), arabe, turcomanne e armene, nel Syrian Democratic Forces (SDF) sostenuta dagli USA, per pressare i gruppi islamisti che si trovano a nord. 




Dal 2012 a oggi la vita per i civili è andata via via peggiorando. Molte testimonianze di atrocità subite dalla popolazione sono state riportate dal rapporto pubblicato a maggio 2015 da Amnesty International dal titolo “Morte ovunque: crimini di guerra e altre violazioni dei diritti umani ad Aleppo” in cui emergono orrori di ogni tipo fino alla necessità di vivere sottoterra per proteggersi sia dai “barili bomba”, imputati al regime, riempiti di tritolo, benzina e pezzi di metallo lanciati da elicotteri a casaccio “per distruggere più che per colpire il nemico”, sia dai razzi con bombole di gas chiamati "cannoni dell'inferno” attribuiti ai ribelli.
“Le bombe ci inseguono ovunque. Tutto è distrutto e senza vita. Le cose più semplici della vita come bere e mangiare sono diventate difficilissime” aveva scritto un ragazzo di Aleppo di 36 anni in una lettera spedita lo scorso febbraio a Rabi Bana, attivista per i diritti umani, suo concittadino e compagno d’infanzia, riuscito a lasciare Aleppo alla fine del 2012 e a lavorare a Beirut e in Turchia per una ong internazionale che sostiene la società civile siriana. L’allarme Onu di ieri conferma la necessità immediata di una tregua umanitaria. 
Lo scorso 24 luglio è stato colpito il deposito con le razioni di cibo delle Nazioni Unite e la maggior parte è andata distrutta. Dal 2012 a oggi sono stati annientati interi quartieri, mercati, ristoranti, stazioni di bus, moschee, ospedali e centri medici. Lo scorso 23 luglio sono stati colpiti sette ospedali da campo e una banca del sangue allestiti in città. A maggio era stato già distrutto l'ospedale Al-Dabbeet, situato nel quartiere di Muhafaza, mentre il 28 aprile era stato attaccato l'ospedale al-Quds, sostenuto da Medici Senza Frontiere (MSF), dove tra le 14 vittime sono morti anche due medici e tra questi Mohammed Wasim Moaz, 36 anni, l'ultimo pediatra rimasto ad Aleppo. 
Scenari di orrore si sono verificati anche nelle scuole come quella di Ain Jalut attaccata da missili sia nel 2013, sia nel 2014, causando innumerevoli morti che, insieme a detenzioni arbitrarie, torture in carcere, sparizioni forzate e decapitazioni come quella del bambino di 12 anni ad Handarat lo scorso 19 luglio, fanno di Aleppo la città più devastata della Siria, una vera città martire dove da quattro anni si assottiglia sempre più ogni speranza di sopravvivenza anche se ancora qualcuno prova a coltivare un piccolo orto sul tetto della propria casa come segno di vita. 

Il Mattino - 19 luglio 2016

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