giovedì 23 febbraio 2017

Il giovani di Belgrado

L'esperienza del BIGZ
di Francesca Bellino

I giovani di Belgrado conoscono bene la Storia del loro Paese e ne sono orgogliosi, ma preferiscono non parlare del passato. A loro interessa discutere solo del futuro e farsi guidare dal motto: “andare avanti senza dimenticare”. Ed è proprio questa la sensazione che si ha quando si passeggia per le strade di Belgrado, sia nella città vecchia, sia in quella nuova, al di la del Ponte Brankov, dove si ergono i Blokovi, i grandi dormitori, tra i più grandi progetti residenziali del mondo, scelti dal regista Luc Besson nel 2009 per varie scene di “District 13 - Ultimatum”. 
L’estetica della città conserva diversi strati di memoria, dal socialismo alle guerre, e li mescola con elementi moderni capaci di disorientare il visitatore che può trovarsi prima di fronte a tracce dei bombardamenti della guerra del Kosovo del ‘99, come capita, in pieno centro, passando di fianco ai resti dell'edificio del Vecchio Stato Maggiore e del Ministero della Difesa (oggi monumenti storici), e subito dopo in una delle tante lucenti e vivaci strade dello shopping. I contrasti sono a portata di mano qui a Belgrado, così come le sorprese. Proprio per il suo rapido trasformarsi, la città è diventata in pochi anni una delle nuove mete turistiche predilette dai giovani. 
“Essere belgradesi significa essere sempre giovani grazie all’ironia, all’apertura verso gli altri, alla capacità di trasformare il brutto in bello. Forse per questo la città attira la gioventù” spiega la scrittrice serba Tijana Djerkovic, figlia del poeta Momcilo, oggi residente in Italia. 
Solitamente la prima tappa per conoscere Belgrado è il parco della Cittadella di Kalemegdan, nel centro storico, dove pullulano venditori ambulanti, dalle anziane che offrono merletti e ricami tradizionali fatti a mano, agli uomini che espongono tutto il meglio dell’iconografia jugoslava: spille, stendardi, bandiere e simboli socialisti, ritratti del Maresciallo Tito, ceramiche e vecchie borse, scarpe, cinture. Seguendo le mura della Fortezza e guardando in basso si scopre subito l’altra caratteristica della città: il fiume Sava che incontra il grande Danubio. Il panorama è mozzafiato. Proprio sulle lunghe sponde del fiume si svolge parte del divertimento giovanile dei belgradesi e dei turisti. Accoglienti e colorati battelli galleggiano ai bordi delle acque pronti per ospitare i visitatori, giorno e notte. “Osservare il fiume è sempre rincuorante. E’ un incanto consolatorio” dicono delle ragazze rapite dal fluire regolare del corso d’acqua mentre sorseggiano un drink. Per i belgradesi andare sul fiume è un rito. E’ sia l’occasione per trovare un po’ di fresco nelle calde estati, sia il luogo ideale per ricordarsi che la vita scorre, va avanti, come le acque fluviali, verso un futuro diverso che probabilmente porterà presto la Serbia in Europa. Molti lo sperano, altri chiedono solo che l’inflazione si abbassi. Altri ancora desiderano semplicemente un lavoro, ma ognuno coltiva il suo sogno di un’era migliore. 
“Ho 26 anni e sono già passata attraverso quattro stati diversi, due guerre, iperinflazione e innumerevoli rivoluzioni sociali – dice Maja Marcović, manager culturale - Non serve a niente oggi caricarci ancora il peso del passato, a noi giovani interessa il futuro”. E’ facile incontrare sul fiume giovani belgradesi vogliosi di condividere idee e opinioni. Tutti parlano un ottimo inglese e hanno voglia di far conoscere la loro città. Nel quartiere Skadarlija, la Montmartre di Belgrado, s’incontrano più turisti che belgradesi ma vale la pena farvi un giro. Si tratta dell’area che un tempo ospitava artisti, poeti e scrittori serbi (ci viveva Đura Jakšić) e che, nei vicoli ottocenteschi e nei locali che si affacciano sulla strada, conserva un’atmosfera antica e bohemien, come usano definirla le guide. Skadarlija si trova vicino Piazza della Repubblica, la piazza dove i giovani si danno appuntamento solitamente dicendo: “Ci vediamo al cavallo”. 
L’espressione si riferisce al monumento eretto nel 1882 in cui si raffigura il Principe Mihailo III a cavallo per celebrarne la politica di liberazione delle ultime città serbe dal dominio ottomano e di espulsione di turchi dai territori riconquistati. Proprio la vicinanza a questa piazza ha permesso a Skadarlija di diventare un’alternativa serale per i cittadini. Nel 1901, quando il ristorante Dardanelli fu demolito, i frequentatori  si spostarono nelle taverne di Skadarlija alla ricerca di nuovi posti di ritrovo. Così l’area oggi è popolata a tutte le ore, anche solo per semplici passeggiate. Lo stesso avviene poco distante, sulla via Strahinjića Bana, che da una decina d’anni è famosa come “Silicon Valley” ed è frequentata soprattutto di notte dai figli delle poche famiglie benestanti di Belgrado. Via Strahinjića Bana, con le sue auto parcheggiate in seconda fila, è lo specchio del cambiamento della città. E’ l’espressione di una Belgrado che vuole modernizzarsi e adeguarsi agli standard di bellezza femminile europea. 
“Il nome Silicon Valley nasce dal gran numero di ragazze siliconate in cerca di mariti ricchi che affollano i locali” mi spiega un tassista, mimando il gesto dei seno prosperoso. E non è il solo a raccontare questa leggenda. A chiunque si chieda il perché di un nome che si riferisce al silicio dei software dei computer di San Francisco, la risposta è sempre la stessa: siamo nel regno del seno e le labbra rifatte. 


La scena artistica

Per conoscere la scena artistica underground di Belgrado è obbligatorio fare un salto al BIGZ. L’orario migliore è la sera, quando le sue stanze si riempiono simultaneamente di concerti, mostre d’arte, dirette radiofoniche, sfilate di moda, cabaret, feste ed esibizioni del circo e sul terrazzo, sul tetto che affaccia sul nuovo ponte illuminato della città, apre i battenti il bar “Sala d’attesa”. Da qui è possibile avere le vertigini tanto è forte la sensazione di trovarsi sulla cima di uno dei grattaceli più importanti di Belgrado, che rappresenta una delle opere più celebri dell’architettura moderna jugoslava. Il palazzo di otto piani, progettato da Dragisa Brašovan e costruito tra il ‘34 e il ‘41, è stato una delle stamperie più grandi dell’ex Jugoslavia che stampava libri per tutta la nazione. Oggi, strizzando l’occhio allo stile berlinese, BIGZ, situato nel quartiere di Senjak, è uno spazio multidisciplinare che ospita il nuovo sulle macerie del passato. L’imponente edificio accoglie variegate attività a tutte le ore, ma rappresenta soprattutto una community di artisti, nel senso newyorkese del termine, che si riunisce per condividere la creazione e la libertà d’espressione. Chi frequenta il BIGZ, dunque, è gente unita dallo stesso obiettivo: creare liberamente e scambiarsi idee, opinioni e progetti. Vista la maestosità del palazzo, il nome BIGZ calza perfettamente. Porta subito alla mente la parola inglese “big”, ossia grande. Eppure BIGZ è l’acronimo, in serbo, di Istituzione di pubblicazioni e grafica di Belgrado
L’antica insegna è rimasta intatta sul tetto dello stabile. La prima sensazione che si ha entrandovi è quella di trovarsi in un luogo fatiscente o su un set di un film dell’orrore. Gli ambienti sono tetri e scuri, a cominciare dall’ingresso, e i primi cinque piani sono per la maggior parte inutilizzati, quindi abbandonati a polvere e oscurità (ma qui è possibile ammirare alcuni resti della stamperia). La vita creativa si svolge soprattutto al sesto e al settimo piano, dove naturalmente si può arrivare direttamente con una delle varie ascensori a disposizione e risparmiarsi le scale. Qui, da più di 10 anni, ogni giorno, pagando regolarmente un affitto ai proprietari, si riuniscono ballerini di capoeira e di break-dance, dee-jay radiofonici e soprattutto musicisti e cantanti che usano gli spazi anche per le prove, da note rockstar balcane a gruppi heavy-metal, da band anarcho-punk ad artisti hip-hop. Tra questi si possono incontrare Partiberjkers, Rambo Amadeus, o band più giovani come S.A.R.S, Bolesna Stenad, Damjan Eltech, Mc Sajsi, Kriske, e si può ascoltare musica nei club, come “De znam”, “Cekaonica”, specializzato in jazz, o “U zmajevom gnezdu”, o assistere al circo, Cirkusfera. 
“La Serbia è un luogo dove si pensa che le cose succedono solo con l’aiuto degli altri. C’è grande condivisione e uno scambio sincero tra la gente. A volte non mi spiego come certe cose possano funzionare in questo modo, eppure funzionano benissimo – sostiene Jay Furnivall, acrobata inglese di Cirkusfera che viene da Bristol – Qui le persone sono sempre felici di mostrarti e insegnarti quello che sanno fare. Lo trovano gratificante. Dunque, è prassi quotidiana al BIGZ che è come una calamita per gli artisti. Prima o poi li attira tutti”. Girano intorno all’edificio anche video maker e fotografi. Tra questi c’è Tatjana Vulkelic, ideatrice del progetto “Ružno Pače” che sottolinea l’importanza per Belgrado di avere un posto come il BIGZ. “Per i giovani di Belgrado BIGZ è un luogo fondamentale per lo sviluppo dell’arte. A volte si sente dire che qualcuno vorrebbe trasformare l’edificio in un grande hotel. Rabbrividisco all’idea e spero che non ci tolgano questo spazio in cui investire le nostre idee”. 
Le opportunità lavorative per i giovani di Belgrado sono davvero poche. Per chi intende lavorare nel mondo del cinema e della televisione, però, uno spiraglio si è aperto grazie alla nascita dei PFI Studios, studi televisivi e cinematografici all’avanguardia, diretti dal giovane Zeljko Mitrovic e situati nella periferia di Belgrado, che attirano registi da tutti il mondo per la qualità delle attrezzature e la competitività dei prezzi. L’ultimo di questi è stato Charlie Stratton che ha girato “Therese Raquin”, un thriller erotico tratto da un romanzo di Émile Zola. Proprio mentre Cinecittà rischia di chiudere a Roma, anche molta della produzione italiana di film per il cinema e di fiction per la televisione si sta muovendo a Belgrado, così come ha già fatto la Fiat spostando parte della sua produzione a Kragijevac, assumendo un buon numero di ex dipendenti della vecchia fabbrica Zastava, bombardata dagli aerei Nato nel ‘99 durante la guerra che divise l’ex Jugoslavia, e approfittando del basso costo del lavoro: meno della metà rispetto all’Italia. 

(Il Mattino, 26-27 agosto 2013)

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