lunedì 15 maggio 2017

Due bimbi e una tata: noir ideale nella Parigi borghese

Il secondo romanzo della scrittrice marocchina Leïla Slimani

Sin dall’incipit “Ninna nanna” di Leïla Slimani è una doccia fredda, eppure lo si legge tutto d’uno fiato anche se si conosce già il finale. La trama si può riassumere in una riga: una tata uccide due bambini. Una sinossi breve come un titolo di giornale, come quello che la scrittrice marocchina vincitrice del Premio Goncourt 2016 con questo romanzo, ha letto su “Paris Match” e ha portato in letteratura. Quel fatto di cronaca accaduto a New York nel 2012 è diventato, infatti, il pretesto perfetto per raccontare un mondo più ampio e familiare a buona parte dei genitori di oggi. Slimani scuote il lettore e lo porta in un microcosmo di solitudini, dipendenze e paure profonde e intime, quasi inconfessabili come sono spesso inconfessabili i passati delle donne che da paesi lontani arrivano in Occidente e trovano impiego come babysitter. 
Il lettore capisce subito di trovarsi di fronte a una storia nera, a un thriller inquietante, eppure ne è conquistato anche grazie a uno stile asciutto, secco, diretto, come l’incipit appunto: “Il bambino è morto. Sono bastati pochi secondi. Il medico ha assicurato che non aveva sofferto”. 
Pagina dopo pagina, Leïla Slimani si infila nei timori oscuri di ogni genitore nell’affidare propri i figli a estranee bambinaie, ma smuove anche altre emozioni comuni: il disorientamento di neomamme e neopapà, le rinunce, l’attaccamento al lavoro, le ambizioni, i dubbi sull’educazione, i sensi di colpa di essere “genitori assenti” e la vita che, quando arriva la prole, “diventa una sequenza di incombenze”, di “entrate e uscite”. 



Leïla Slimani, nata a Rabat ma dal 1999 residente a Parigi, ha toccato un punto debole dell’Europa che ancora fa figli conquistando già 600 mila lettori in Francia. Non solo “Ninna nanna”, pubblicato in Italia da Rizzoli (traduzione dal francese di Elena Cappellini), è il Goncourt più venduto degli ultimi dieci anni e i suoi diritti sono stati già venduti in 30 paesi, ma Leïla Slimani è entrata nella lista delle sole sette donne vincitrici del premio in ben 113 anni a soli 35 anni. 
Un bel tiro messo a segno dopo “Nel giardino dell’orco”, romanzo uscito lo scorso anno sempre per Rizzoli e in Francia, come “Ninna nanna”, per Gallimard, in cui la scrittrice esplora l’ossessione per il sesso e costruisce la storia di una ninfomane. Sullo sfondo si agita sempre il vuoto delle società odierne. Non quelle maghrebine come ci si poteva aspettare, bensì quelle occidentali. Slimani ha scelto di proposito di sfuggire per ora ai tranelli del binomio stereotipato donne-Islam. Ha preferito portare il lettore in un’asfissiante casa borghese di Parigi in cui una tata dall’apparenza perfetta, “la bambolina” Louise, manipola le vite di una giovane coppia, Myriam e Paul, e dei loro figli, Adam e Mila. 
“Noi maghrebine non siamo costrette a parlare sempre di velo” ha specificato la scrittrice-neomamma e in attesa di un altro figlio. Meglio toglierli i veli. Meglio smascherare angosce e dipendenze reciproche che si creano tra genitori e tate. E meglio provare empatia con la solitudine e la tristezza che si nascondono nei cuori di quelle donne che ignorano i propri figli per occuparsi dei figli altrui prima che commettano gesti folli. 

Francesca Bellino - Il Fatto - 3/05/2017

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